Testi Politica delle donne: POESIE di Rosella Cardano

pubblicato da Donatella Massara il 27 gennaio, 2022

POESIE 

di Rosella Cardano

Autoritratto
sensibile come rugiada su foglia
appena curva, me ne sto su un ramo
di albicocco con sana ignoranza
sudicio trastullo.
I lamenti acuti dell’infanzia
sono ripiegati toni, eco
angelo di carne dalle ali fluttuanti
cerco una lingua,
saliva d’amore più verbale;
mio severo schema, costi erotici
di vita quotidiana,
amore e parole, parole e amore…

*
Sensibile come rugiada su foglia appena curva
me ne sto in attesa di un pianto natale,
timido tocco di sesso,
mio severo schema d’amore più verbale

*

Crudele cecità dei parchi:
seduta, sola , come gabbiano
abbacinato di luce,
nessuno mi vede

*

Ali carnee infantili
muco agglutinato
sillabato
quasi ritmato
e poi… e poi… poi…
un revolver e un cane
con sufficienza allertato
così bimba e o animale
infantili modi
solevo stare  nelle stagioni brevi
mi affermavo
io abbecedario gioioso del mio mondo
amato

*

Caro Medioevo.
Caro Medioevo,
mio secolo coevo,
portami tu
la civiltà del pero e del ciliegio
lo speziale e il bestiario
la dolce miniatura
che pone fine
alla barbara impostura

 

*

Quiete d’anima
giallo come campo di grano,
sei l’abbraccio solare
che mi accarezza gli occhi
nella penombra
che si chiama vita

*

Stasi.
Spossata, stanca
dallo specismo greve,
di visi che non sanno di amore,
timidamente, sempre più guancia,
mi distendo tra le righe
di poesia a me care e stringate

*

Non eteronormativa
Non è nel corpo avvinto
che ti trovo amore
ah, l’amore è parola
frutto piccolo e goloso
che crea annodando l’amica mia
mesti i giorni del disprezzo
altrui invadenza
estranea alla morte
Vuoi essere tu, amica mia leggera
che fa sorridere il mio corpo
al tuo sempre in amore
dimenticare la bestia
dell’insensato orrore.

 

Rosella Cardano di Novara, nata il 20/2/1956 è morta il 22/8/2021

 

POLITICA DELLE DONNE: Adelina non si è suicidata, è stata uccisa di Franca Fortunato

pubblicato da Donatella Massara il 19 novembre, 2021

ARTICOLO DI FRANCA FORTUNATO PUBBLICATO SUL QUOTIDIANO DEL SUD IL 19.11.2021

ADELINA NON SI È SUICIDATA, È STATA UCCISA

“ALL’ETA di 17 anni e mezzo venni sequestrata a forza e portata in un bunker. Fui violentata e poi portata in una casa e poi in un campeggio delle torture e degli stupri. Mi hanno venduta di banda in banda con destinazione prostituzione in Italia dove sono arrivata nel 1996 a bordo di un gommone, sul quale c’erano tantissime altre ragazze. Io sono finita a prostituirmi nel varesotto. Ho subito l’inferno. Un giorno decisi di ribellarmi. Lo feci dopo 4 anni. Grazie alla mia denuncia sono state liberate 10 ragazze, 40 sono stati arrestati, 70 i denunciati, tutti condannati”, sono parole di Alma Sejdini, Adelina, la donna che ha avuto il coraggio di mettersi contro la mafia albanese del racket della prostituzione e della tratta di esseri umani. Mafia non meno pericolosa di quella italiana. Adelina non viene considerata una testimone e collaboratrice di giustizia, per cui non entra in nessun programma di protezione. Non le viene data una casa, un lavoro, non le viene concessa la cittadinanza italiana nonostante continui la sua “missione” di liberare dalla schiavitù altre ragazze, convinta, come tante altre sopravvissute, che la prostituzione non è un lavoro, una libera scelta, meno che mai per donne vittime di tratta. La prostituzione è “abuso”, “violenza”, che le donne si trovano a subire da parte di uomini che pagano per avere accesso al loro corpo. Nella sua audizione alla Commissione parlamentare sull’indagine conoscitiva sulla tratta, a cui vi andò nonostante si stesse curando un cancro, si appellò a tutti perché fermino “la domanda, sanzionando i clienti. Nessuna donna si può prostituire da sola neanche se lo vuole. In Italia sono più di 120 mila le donne vittime di tratta. Fate qualcosa per queste ragazze, non permettete che venga legalizzata la prostituzione, che vengano aperti i bordelli o le cosiddette zone rosse, non abolite il reato di favoreggiamento della prostituzione. Se oggi fossi ancora schiava starei dentro a quel bordello, così gli sfruttatori prenderebbero i soldi mentre lo stato incasserebbe le tasse”. La sua è la stessa lotta di tante sopravvissute come Rachel Moran, autrice del libro “Stupro a pagamento- La verità sulla prostituzione”, che puntano all’abolizione della prostituzione con la criminalizzazione dei clienti. Donne avversate dalla lobby dell’industria del sesso che, come anche tante donne, parla della prostituzione come sex work, sex worker e ne chiede la sua regolamentazione. Dopo la morte di Adelina, molte avrebbero fatto bene a tacere.                 Adelina chiedeva la cittadinanza italiana per sentirsi al sicuro.            Il 28 ottobre si era presentata davanti al Viminale e in un atto estremo si era data fuoco. Il 6 novembre è tornata, allontanata dalla polizia, si è diretta verso il Ponte Garibaldi e si è gettata di sotto. “Questa notte mi troverete dentro una tomba. Fate quello che vi ho detto, diventate la mia voce, morta per morta, spero che altre Adelina avranno quello che non ho avuto io”, è il suo messaggio di addio. Aveva lottato contro il cancro, contro la mafia albanese, non aveva una casa, era ospite di un prete, le amiche le pagavano il taxi per andare a farsi la chemioterapia, le avevano tolto lo status di apolide, le avevano assegnata la cittadinanza albanese ma lei non voleva tornare in Albania, sapeva che la mafia l’avrebbe uccisa. Andava ascoltata, protetta, aiutata e non abbandonata. E pensare che Mimmo Lucano, che ha accolto, protetto, dato una casa, un lavoro, un’identità, una speranza alle tante migranti approdate a Riace, è stato condannato dal tribunale di Locri. Quale tribunale giudicherà chi ha spinto Adelina verso l’abisso?

pubblicato da Donatella Massara il 26 maggio, 2021

Nevia diretto e scritto con Chiara Ridolfi da Nunzia De Stefano, prodotto da Matteo Garrone, Italia, 2019

di Donatella Massara

Il film di questa regista esordiente è dichiaratamente autobiografico, anche lei ha vissuto per dieci anni con la sua famiglia d’origine nei containers di ferro perché avevano perso la casa nel terremoto del Belice, e ha lavorato nel circo, a differenza della sua protagonista non ha perso la madre che è tutt’oggi una delle attrici che Matteo Garrone vuole nei suoi film. Chissà quanti altri distanziamenti ha compiuto l’autrice per riuscire a raccontare in forma cinematografica la sua storia. Ma come dicono le recensioni il film è soprattutto “onesto”. E’ quindi interessante come ogni pellicola che si distanzia dal mainstreaming. L’autrice riesce a trasmettere il valore delle azioni di una ragazzina quindi di se stessa ma in modo che ce ne sia la consapevolezza in noi che guardiamo. Il suo sguardo indietro valorizza se stessa ma non escludendo le altre donne.

Nevia, la protagonista è lo sguardo narrante, ha 17 anni, non va più a scuola, si arrangia con i lavoretti che le danno le abitanti del quartiere, ha una sorellina a cui badare vivendo in casa della nonna paterna perché il padre è in carcere. E’ molto giovane sa quello che vuole. Come ogni adolescente sta seguendo le sue sensazioni più che un programma organizzato di riuscita. Certo la società intorno non offre grandi speranze, ma anche nel degrado si può vivere. Oltre a se stessa, con quella scontentezza che si porta appresso, i simboli che la guidano sono la madre, rappresentata in un’immagine che è in realtà la fotografia della stessa regista, e il circo, l’offerta di una collocazione che spezza la coazione della periferia con le sue miserie e le sue nobiltà disposte fra amicizie, piccola criminalità, prostituzione, gli uomini che la vorrebbero, uno in particolare, pronto a sposarla ma che non esiterebbe a violentarla per farla ubbidiente. Da tutto questo Nevia con la sorellina riesce a scappare.

Il film presentato a Venezia 2020 per la sezione Orizzonti si avvale di un’ottima interpretazione di Virginia Apicelli

 

 

 

Politica delle donne, Testi, Dalle prime band beat femminili alla ricerca di Valentina Bertolani e Luisa Santacesaria

pubblicato da Donatella Massara il 21 marzo, 2021

Il gesto di uscita delle prime bande rock femminili italiane  è oggi irripetibile. Su una scena musicale formata dai gruppi di quasi tutti uomini, con la cantante donna, verso la fine degli anni ’60 nascono le bande beat di sole donne. Le Svitate nel 1965 cantano “Basta essere belle”, denunciano che le donne vengono considerate solo per l’aspetto estetico. Il ’68 non è vicino ma come dice Nara Gavioli nel suo libro “Note ribelli. In viaggio con Le Scimmie dall’Emilia beat al rock progressivo”, Artestampa, 2019, Le Scimmie sono, forse, la prima banda rock italiana femminile, la fonda nel 1965, ha vent’anni, e le ragazze vivono insieme quell’indimenticabile esperienza di libertà. Sonia e le sorelle, Le Pupille, Le Snobs,  Le Molle, Le Mini Cooper, Honeybeats, Le Amiche, Ambra e Le Gatte, La Metamorfosi, Le Najadi,  le band beat di donne degli anni ’60, molto palcoscenico e poca sala di registrazione, le racconta Jessica Dainese in “Le Ragazze del rock”, Sonic Press, 2011. Le ripresenta il bel documentario di Wilma Labate “Arrivederci Saigon”, 2018 dove racconta Le Stars: nel 1968, per non avere capito il contratto firmato, finiscono a suonare in prima linea fra le truppe americane nel Vietnam del sud. Tutte donne del rock protette dalle musiciste della prima jazz band femminile nata nel 1937 e raccontata da Greta Schiller e Andrea Weiss nei documentari del 1986 “International Sweethearts of Rhythm. America’s Hottest All-Girl Band”  e “Tiny e Ruby. Hell Divin’ Women” dedicato al formidabile quarantennale duo Tiny Davis e Ruby Lucas, suonatrici di tromba e batteria-piano oltreché coppia lesbica.

Nessuna delle prime band italiane di sole donne, degli anni ’60, ebbe successo non quel successo che meritavano, come antesignane femministe, certo è che si buttarono nella mischia, confidando in se stesse. Ebbero in cambio indipendenza, autonomia, libertà di creare. Partivano da sé, intuendo la scoperta del femminismo, quella postura della mente e del corpo necessaria per darsi l’autonomia simbolica, per consolidare la soggettività, per stare in relazione fra donne. Eppure chi di noi, pur entusiasta del femminismo e della sua liberazione, non ha provato a farsi avanti in professioni, luoghi di lavoro, ambiti di emancipazione ricevendo, più che un rifiuto, magari anche quello, la sensazione primaria di non avere tutte le carte in regola?  E’ la sensazione che qualcosa ti manca che diventa la patina di inviluppamento su di sé che ti discrimina. E’ una discriminazione sistemica non diretta, perché l’Europa non è l’Arabia Saudita. “La candidata ideale”, film del 2019 di Haifaa Al-Mansour, la prima regista donna di questo paese, ci fa capire la discriminazione delle donne, sancita dalle leggi. Eppure, abolite da decenni le norme che ci discriminavano, nella UE, fra gli obbiettivi, vengono indicati per incrementare la sostenibilità economica: l’uguaglianza fra i sessi e il superamento delle diseguaglianze, l’uno e l’altro non ci sono, ancora.

Il mio femminismo di settantenne si è fatto beffe della parità, come se ne sono infischiate quelle ragazze, le Clito, nate nel 1977, la prima band punk rock, anch’esse oggi quasi settantenni, che, accompagnate da sax, chitarra e batteria cantavano “Quando la peste ti coglierà” scritta dalla fondatrice Luisa Sax, parole imbarazzanti e poetiche (anche profetiche, oggi), accompagnate  da versi di gatti, urla streghesche, atteggiamenti stralunati. Ho seguito la libertà di agire i miei desideri senza mai smettere di contare quante registe facevano film, quanti libri di donne vincevano i premi, quante compositrici trasmetteva RADIO tre.  Le donne, ma non solo loro, non arrivano facilmente ai posti che desiderano e quei posti li ricoprono gli uomini, bianchi, in una sistematica sequenza che non è scalzata neanche dai titoli di studio richiesti. Eppure basterebbe adattare più lavori alla maniera delle donne di essere, al loro modo di vedere e di agire, considerato che nulla si è rivelato decisivo, immodificabile, determinante per la felicità della Terra. Basterebbe creare più posti di lavoro assecondando i desideri delle donne.

La ricerca che hanno condotto nell’arco di due anni le musicologhe Valentina Bertolani e Luisa Santacesaria, anche musicista e compositrice,  ci offre dei dati significativi sulla presenza delle donne nella musica. Le due autrici, l’una musicologa e l’altra musicista-compositrice hanno scritto “Curating diversity. L’industria musicale italiana in numeri”, lavoro iniziato nel 2018. Hanno misurato il numero di musiciste, bianche e di etnia diversa, e così i musicisti di etnia diversa da quella bianca, presenti in 238 manifestazioni musicali sinfoniche cameristiche e in 297 momenti di musica contemporanea. Il dato che ne è venuto fuori è che inaspettatamente fra musica classica e contemporanea non c’è una sostanziale differenza di gap di genere. Le donne sono il 28 per cento dei soggetti che lavorano nel campo della musica. E’ lo stesso dato che riguarda la presenza di donne nello STEM nei campi di Science, Technology, Engineering and Mathematics. Come giustamente dicono le due autrici: c’è un preoccupante dato occupazionale sfavorevole alle donne, che è allo stesso modo presente sia per chi suona sia per chi si occupa di scienza.

Valentina e Luisa hanno il loro sito sul quale contattarle https://curatingdiversity.org, e dove sono pubblicati interventi e articoli. La ricerca è stata pubblicata sul numero 47 di OnCurating https://curatingdiversity.org/new-music/

Il 15/11/2020 in un incontro su Soundmit l’hanno presentata con i grafici https://youtu.be/VHn5BWiMwT0?fbclid=IwAR2Hub9R__WlNWPSzIZPIZHRjb6a9eo1ce2n7AWOfkEBKhI7TiU42DZCQZg

In questa occasione ho anche avuto modo di conoscere la musicista elettronica Johann Merrich che ha pubblicato “Breve storia della musica elettronica e delle sue protagoniste”, Arcana,2018 e cura la rubrica Brevi note dedicata alla musica femminile sulla rivista on line Musica elettronica https://www.musicaelettronica.it/tag/johann-merrich/

Mi fa pensare che proprio in campo musicale ci sia la discriminazione sistemica delle donne. L’educazione alla musica era l’imprescindibile corredo di ogni giovinetta benestante almeno dal XVII secolo in poi. Le donne non andavano a scuola ma suonavano il piano, conoscevano le lingue e ricamavano. E componevano musica Nelly LiPuma http://www.nellylipuma.com/ è  una compositrice che ha dedicato una sezione Video alla storia delle compositrici da Hildegard von Bingen fino a Lily Boulanger. Quando la cultura musicale riuscirà a includere la grande produzione di musica che le compositrici ci danno lungo i secoli, sono sicura che anche la presenza delle donne nell’industria musicale sarà più forte perché più autorevole e consolidata dalla genealogia. Perché la nostra discriminazione è anche soprattutto simbolica, siamo entrate per inclusione in una tradizione maschile che si finge neutra ma è estranea al confronto delle culture e con le donne.

 

 

POLIFONIA TEATRALE DAI TEMPI DELLA PANDEMIA di Donne di Parola

pubblicato da Donatella Massara il 7 marzo, 2021

POLIFONIA TEATRALE DAI TEMPI DELLA PANDEMIA 

Nuovo spettacolo di Donne di parola (www.donnediparola.eu), durata 57’

vai al link https://vimeo.com/518527215/

INCONTRI

Libera Università delle donne di Milano il 24/3/2021 ingresso solo per socie e simpatizzanti ore 17

Libreria delle donne di Milano il 17/4/2021 ore 18

ALVEARE di Milano 18/4/2021

Nel contesto di iniziative per l’8 marzo indette dalla Biblioteca Comunale, dall’Associazione Lucrezia Marinelli, dal Comune di Sesto San Giovanni lo spettacolo ha avuto la sua prima uscita, è stato discusso il 13/3/2021 ore 18 e 19,15

https://us02web.zoom.us/j/85942218063?pwd=dEdpeTVhUFBZajM1M2dxcytyc2Z5dz09

 se richieste
ID 859 4221 8063
PASSCODE  548358

Ideazione montaggio regia del video di Donatella Massara
Idea di Laura Modini
Supervisione e Presentazione di Silvana Ferrari
Ringraziamenti a Emanuela Martini

 Monologhi

Laura Modini: La forza e l’energia di mia madre

Domitilla Colombo: Sempre libera degg’io

Donatella Massara: Il corpo esteso al mondo che pensa

Maria Teresa Mandriani: Parto dall’arte in ogni sua forma e soprattutto l’arte di vivere e amare

Pinuccia Barbieri: Pensieri sul periodo di Covid

Carla Massara: Una grande affettuosa e preziosissima solidarietà tra di noi

Raffaella Gallerati: Tunnel di realtà

Maurizia Ferrari: Mio pensiero

Myriam Bergamaschi: Una delle mie interviste alle donne

Diana Quinto legge:

Marisa Guarneri: La prima preoccupazione è stata per le donne

Rita Lopez: Il racconto di Agitu

 Occhi di grotta per pianoforte solo di Nelly LiPuma

Musiche da Some works of mine di Nelly LiPuma

Riprese video registrate da Zoom, a cura delle autrici, dal cellulare di Danilo Caravà, Paolo Banfi, Claudio Gallinella.

Fotografie d’archivio e delle autrici

Disegni di Dacia Manto

 Regia di Donne di parola

Regia di Donne di Parola

PRESENTAZIONE di Donatella Massara curatrice dello spettacolo

Polifonia Teatrale dai tempi della pandemia è il titolo che ho proposto, constatate le diversità che avevamo messo insieme. L’eterogeneità, la molteplicità di approcci, la tonalità differente è per me così evidente che oggi vorrei cambiare il titolo in Polifonia teatrale di tempi della pandemia, per sottolineare la musicalità in cui è traducibile il ritmo, il sound, la percussione diversa che le parole esprimono.

L’idea dello spettacolo è di Laura Modini, che, mesi fa, voleva raccogliere racconti di cosa stessero vivendo le donne, turbata dalle brutte notizie sul peggioramento incalzante della vita di alcune. Il secondo step è stato quello di entrare in azione afferrando, prima delle altre, noi stesse – come abbiamo imparato dalla politica delle donne. Uno spostamento non facile perché tutte noi viviamo apparentemente nella normalità, quella che può sembrare senza senso mettere in parola scritta. Invece il risultato è stato che abbiamo agito, pensato e scritto proprio perché questa normalità potesse essere raccontata, sapendo che normalità non è. Silvana Ferrari che ci ha supervisionate annota nell’introduzione: in queste testimonianze ci possiamo riconoscere. Affidate al suo giudizio, e confortate dai buoni giudizi, vi proponiamo il nostro spettacolo composto dalle testimonianze della nostra vita, noi donne normali, vicine e amiche, in comunità di appartenenze, anche da molti anni, ma imprevedibilmente differenti. Il finale dello spettacolo è su Agitu Idea Gudeta, la donna uccisa il 29 dicembre. Non perché pensiamo sia un simbolo. Come dice Marisa Guarneri: ogni donna fa storia a sé. Rappresenta però la paura inconfessata di ogni donna di essere uccisa, interpreta la ‘paura della notte’, che ognuna sente, più o meno inconsciamente. Nel periodo di paura per quello che non vediamo, Agitu ci è diventata un’amica visibile, amata e pianta, con tutte le sue belle iniziative, con la sua vita spezzata, da un uomo, stupido e criminale, “il vero pericolo”, come dice Rita Lopez, autrice del racconto incluso nello spettacolo. Una conoscenza di Facebook, un regalo di Internet.

Il video è stato ingentilito e reso più fruibile e comprensibile dalla musica suonata e composta da Nelly LiPuma, un’altra imprevedibile conoscenza di La Biblioteca femminista il gruppo da me amministrato su Facebook. Mi ha autorizzata a usare le sue bellissime musiche, per piano, flauto, oboe, corno inglese, fagotto, clavicembalo, viola e violoncello, chiude lo spettacolo suonando per pianoforte solo Occhi di grotta. Puntuali e sincronici arrivano i misteriosi boschi e le stelle, gli occhi di lupe e i barbagianni dei disegni di Dacia Manto, l’artista, fotografata insieme a una decina dei 90 cani, con cui vive e che amorevolmente alleva. È la figlia di Diana Quinto, che legge il racconto di Agitu.  Un altro filo di cucitura del video sono le fotografie che aprono ogni monologo anticipando qualche significato e mostrando quello che ognuna vuole fare vedere ancora di sé: balconi innevati, terrazzi illuminati di luci, incontri di amiche, scorci di vie milanesi, immagini della solitudine, segni, colori e oggetti che raccontano di una vita creativa, fotografie dell’infanzia che slittando nel come siamo adesso creano quella trasparenza del ricordo che ci fa stare meglio.

Polifonia teatrale dai /di tempi della pandemia prosegue con un incontro, nel quale speriamo di rianellare i fili delle storie, di quanto ci accade e quanto immaginiamo, nell’accordo dei singenionimi, delle parentele  e delle appartenenze con il nostro pubblico.

 

 

 

Cinema Recensioni SanPa regia di Cosima Spender, 2020

pubblicato da Donatella Massara il 9 gennaio, 2021

Mi è piaciuta la docuserie SanPa diretta da Cosima Spender, uscita il 30/12/2020 coautore con altri C. Gabradini. E’ una docuserie di 5 episodi importante per capire la storia Italiana e si dà i tempi lunghi per poterci meditare sopra. Con più di 200 ore di immagini di archivio nasce su due anni di lavoro con cinque ore di montato. In questa intervista https://www.artribune.com/…/regia-cosima-spender…/ la regista (che vedete in fotografia) e il coautore spiegano bene le caratteristiche del documentario. L’atmosfera dell’epoca esce da un atteggiamento come dice la regista di “apertura all’inaspettato” con l’ascolto di testimoni che hanno avuto molta voglia di raccontarsi, per la prima volta. Spiace che una donna che ha avuto molta responsabilità nella nascita di San Patrignano, avendo affiancato Muccioli con il marito Gianmarco dal 1979, non abbia voluto o potuto essere intervistata. Così leggiamo nei titoli di coda. Parlo di Letizia Moratti attuale presidente della Comunità. Peccato perché le voci femminili sono poche in questo documentario. Incisiva è la testimonianza di Antonella De Stefano, che vedete in fotografia, ex ospite della comunità. Natalia Berla (che vedete nella fotografia) è la ragazza trentenne morta nel marzo 1989 perché caduta da una finestra, secondo gli inquirenti, per suicidio. Sono state pubblicate le sue lettere da San Patrignano “Il gelo dentro” che vinse il premio Pieve 1990. Luci e tenebre di San Patrignano così spiega il titolo della docufiction. E fra queste tenebre il tema degli stupri ci mette davanti alla “misoginia” del fondatore, come dice Antonella. Nel quinto episodio vediamo il fondatore spiegare con una sceneggiata come non sia impossibile stuprare una donna che non lo voglia. Una infinita fiducia anche ingenua da parte di Vincenzo Muccioli verso quei figli a cui aveva dedicato la vita. Alle figlie forse non aveva pensato abbastanza. Considerazione triste e che non rimedia a niente, certo non alla verità che rimane un capitolo non chiuso su un tema così terribile per la società italiana.

Politica delle donne, Cinema La favolosa Mrs Meisel

pubblicato da Donatella Massara il 15 novembre, 2020

The Marvelous Mrs Meisel ovvero La favolosa signora Meisel è la serie scritta prodotta e diretta da Amy Stewart Palladino con la collaborazione del marito D.Palladino. E’ la più divertente intelligente e femminista (senza pesi ideologici) serie che abbia visto. La quarta stagione è già uscita in USA. In Italia sono distribuite tre stagioni quindi 24 episodi di 57′ l’uno. Le protagoniste sono le donne. Prima di tutte le altre c’è Mrs Meisel Medge alla nascita Miriam. Casalinga dell’upper class, laureata in letteratura russa, non ha ancora 30 anni un marito e due figli, non lavora e segue il marito che quando smonta dall’ufficio si esibisce in un locale alternativo come cabarettista. Lo humor è quello ebraico, il wiz è quello del ridersi addosso comprendendo la famiglia le tradizioni la propria storia, fra malinconia e sarcasmo. Midge però è dotata di suo e quando il marito fallisce in una serata e non sentendosi più all’altezza della moglie la lascia per la segretaria dopo avere visto la sua vita felice rivoltarsi a 360o una sera alticcia sale sullo stesso palco del Gaslight e squaderna tutto il suo humor dissacrante. Ha successo, tanto che addirittura l’arrestano ma attira l’attenzione di Susie Meyerson una spigolosa butch, sempre in abiti maschili, che paga la cauzione, la tira fuori di galera e le offre di diventare la sua manager. Comincia così la nuova vita di Mrs Meisel e di Susie. Siamo nel 1958 e Mrs Meisel, sempre inappuntabile con tacchi abito elegante soprabito guanti e cappellino, con la manager Susie inizia la sua carriera di comedian, di comica. Una storia appassionante che mi ha coinvolto fino all’8o episodio della terza stagione. La relazione fra le due donne è straordinaria molto divertente piena di battute e situazioni strane, verosimile e vincente perché arriveranno fino alla meta, anche se tutto è ancora da capire dopo la terza serie. Le recensioni dedicate alla serie tutte molto positive depotenziano la centralità del rapporto fra le due, che la loro autrice ha invece messo al centro della narrazione Questa relazione e’ il luogo di spiegazione di tutto quello che avviene, non solo la premonizione della coppia butch femmes non ancora cosciente di esserlo, prima di Stonewall. C’è un progetto di riuscita sociale che le unisce ma anche la spinta alla creazione di un linguaggio che fa parlare per la prima volta le vite delle donne. L’aveva detto Carolyn G.Heilbrun. Le poetesse americane negli anni ’60, fanno parlare senza reticenze la vita delle donne. E’ l’autocoscienza, la self-raising consciuosness. Mrs Meisel e Susie danno parola a questa vita, divertendo, rovesciando l’idea che solo gli uomini fanno ridere. Mi hanno fatto venire in mente una grande italiana autrice e interprete della vita delle donne, Franca Valeri. In La favolosa Mrs Meisel senza melodramma, senza alzare cartelli, rivendicare diritti il femminismo prende parola attraverso quella strana coppia, nella intesa che le tiene insieme. Il motto che sancisce il patto è “Tit up”. Ogni volta che Midge sale in scena le due compagne ripetono la frase benaugurante “Tit up”, “petto in fuori”, quindi “coraggio”. Volgarmente usato, in americano, con il significato negativo di mandare tutto in malora, le due donne lo prendono alla lettera, se tit presta il suo senso alla metafora ma vuole dire poppe, insomma tette, zinne, zizze in linguaggio di bassa lega.

Donatella Massara

LIBRI, Recensioni Maria Attanasio La ragazza di Marsiglia Sellerio 2018

pubblicato da Donatella Massara il 13 luglio, 2020

 

Maria Attanasio La ragazza di Marsiglia Sellerio 2018 è la biografia parzialmente romanzata di Rosalie Montmasson la ragazza unica donna accettata da Garibaldi con il Numero e la divisa, pantaloni e la camicia rossa imbarcata con i Mille per liberare la Sicilia dai Borboni. Ragazza povera ma alfabetizzata lavandaia stiratrice ricamatrice Rosalie lascia ventenne la casa paterna nella Savoia che allora era ancora parte del regno del Piemonte. A Marsiglia incontra Francesco Crispi e per 25 anni condivideranno le avventure della fede repubblicana seguaci attivi di Pippo (Giuseppe Mazzini) poi l’impresa garibaldina e quindi la costruzione dell’Italia con Francesco rappresentante della Sinistra storica che entrerà in Parlamento e via via arriverà a diventare Primo Ministro fino alla fine della sua ascesa Politica con l’impresa di Adua. Rosalie diventa la signora Crispi dopo avere attraversato frontiere portando armi e dispacci e avere combattuto valorosamente a Calatafimi rimasta repubblicana mentre suo marito per mantenere l’unità si converte alla monarchia. Sarà ricevuta a corte amerà gli animali e si Impegnerà per fare arrivare a quei compagni d’arme dimenticati almeno il minimo per sopravvivere nonostante le ferite di guerra. Ma un giorno suo marito si risposa sì sposa una donna molto più giovane di alto rango che è incinta di sua figlia. Aveva già avuto un altro figlio riconosciuto e un altro pure riconosciuto ma prima di conoscere Rosalie oltre a una moglie e a una figlia quando aveva solo 20 anni due creature morte di colera. Ma quando i giornali scoppiano con la notizia che il Primo Ministro è bigamo sta per precipitare infatti viene denunciato. Rosalie presenta il certificato del matrimonio contratto a Malta ma non insiste troppo. Certo oggi sarebbe bastato un divorzio. E lei forse lo sa e poi che potere ha per farsi riconoscere anche se la regina Margherita è dalla sua parte? Crispi infatti viene scagionato dimostrando che era consapevole che il suo primo matrimonio non era valido. Sparito tutto negli archivi di Malta inoltre giudici e Pubblico Ministero sono del partito di Crispi hanno sostituito quando La Sinistra sale al potere quelli della Destra. È così che Rosalie finisce a vivere con pochi soldi in un appartamentino a Roma. Dopo anni Crispi torna a trovarla e commissionera’ il suo busto e quello di Rosalie. A imperitura memoria di una compagna fedele innamorata e valorosa che aveva ricevuto la medaglia di garibaldina e una crocetta di brillanti che le regala Garibaldi con una colletta fra i Mille sopravvissuti. Ma la memoria Di Rosalie è perduta perché in tutte le carte di Crispi tutto ciò che la riguarda viene cancellato. Impresa riuscita: di Rosalie Montmasson per decenni non c’è ricordo. Ma come Maria Attanasio anche altri l’hanno ritrovata e a Malta escono di nuovo fuori le famose carte del matrimonio. È questa esemplarità della storia di Rosalie Montmasson che mi colpisce di più perché fa vedere che cosa succede spesso alla memoria storica delle donne. Il libro di Maria Attanasio nasce da anni di ricerche confronto analisi di carte libri documenti esaminati con qualche imprevedibile coincidenza che la scrittrice racconta alla fine del libro. Ringrazio oltre che lei per l’impresa riuscita Pinuccia Barbieri Rosalie Montmasson in La Brigata delle attrici che ho scritto e interpretato e messo in scena con le Donne di parola.

Politica delle donne: Reckoning di Alanis Morisette

pubblicato da Donatella Massara il 12 luglio, 2020

La nuova canzone di Alanis Morissette: Reckoning per l’album che sta per uscire. I toni sono dark per la cantante canadese che parla di recinti rotti, di barricate distrutte, sguardi rivolti a terra mentre non ci sono più dei ne’ eroi intorno a noi. Un testo molto duro. Traduzione di Donatella Massara ”

(Nota i Marauders sono dei personaggi protettivi nella saga di Harry Potter da quello che ho letto su Internet) ” Hey Tu piccola meraviglia camminavi per i campi dove tutti i recinti sono stati abbattuti e non ti eri mai accorta che intorno c’era l’odore del predatore, non sapevi che la casa aveva preso fuoco, hai lavorato come andava fatto ma loro saccheggiavano tutto e tu soffristi, sono piombati sulla preda come farebbero se le guardie fossero lontane. Hey Maurauders siete scappati quando loro giuravano che sono una bugiarda, non ci sono più né dei né eroi intorno a me e tutti stanno tenendo lo sguardo a terra. Così tu colpisci dove è caldo e le barricate sono state distrutte, aggredisci come ti piace mentre tutte le serrature sono divelte. Hey tu negazionista, finalmente ho tutte intorno a me e ora che noi abbiamo sempre più coscienza che ti perseguiranno spero che nella tua prigione ti divertirai. Così preparati, prepara te stesso per questo giorno della resa dei conti, una volta ero io in perdita ma ora sto al varco.”

Melodia molto bella che accompagna Reckoning: La resa dei conti. La recensione della rivista Rolling Stones parla di un testo che fa riferimento al me too. La canzone possibile ascoltarla su You Tube

Libri Recensioni Katia Ricci, Lupini e violette dietro il filo spinato, Luciana Tufani, 2020

pubblicato da Donatella Massara il 7 giugno, 2020

RECENSIONE DI FRANCA FORTUNATO PUBBLICATA SUL QUOTIDIANO DEL SUD IL 06.06.2020

RACCONTI DI DONNE NEL CAMPO DI RAVENSBRUCK

“Lupini violetti dietro il filo spinato – Artiste e poete a Ravensbruck” è l’ultimo libro della critica d’arte Katia Ricci, la cui pubblicazione ha coinciso con questo tempo di pandemia.

Il titolo riprende una frase di una delle lettere che Etty Hillesum, morta ad Auschwitz, scrisse per esprimere la bellezza che lei riusciva a cogliere anche in un luogo di grandi sofferenze come il campo di smistamento di Westerbork. Capacità di cogliere la bellezza anche in situazioni estreme è quello che mostra di avere anche l’autrice nell’avvicinarsi e nel narrare le storie delle donne rinchiuse nel campo di concentramento per sole donne di Ravensbruck. Come hanno fatto a sopravvivere agli orrori del campo? Quali strategie si sono inventate? Quali rapporti, quali relazioni le hanno sostenute? Che cosa spinge l’autrice ad interessarsi di loro? Sono domande di fondo che accompagnano chi scrive e chi legge e che fanno del libro, come i precedenti dell’autrice, un testo di ricerca e di interrogazione di sé, della propria esperienza di donna in relazione all’altra, alle altre,  pur  riconoscendone l’incommensurabilità esperienziale.

“Scrivere sulle donne del campo di concentramento di Ravensbruck ha significato per me non solo e non tanto fare un viaggio nell’orrore e provare sentimenti di pietà, di dolore e di sdegno – condivisida chi legge – ma soprattutto è stato un viaggio dentro di me. Infatti la domanda più corrente che mi ponevo era perché mi interessasse tanto. Mi sono riaffiorate immagini della mia infanzia e giovinezza, che avevo rimosso, ma che mi sembrava avessero la minima attinenza con la storia di cui mi occupavo. Poi ho capito che in qualche modo io e le donne di Ravensbruck avevamo qualcosa in comune: l’essere nate e essere state sottoposte, in una misura incomparabilmente diversa, alla stessa cultura patriarcale, che per loro si è tramutata in un’estrema violenza”, violenza che riconduce l’autrice a sua madre, alla violenza del padre a cui lei bambina ha assistito. Da qui il desiderio intimo e profondo che la spinge verso le donne del campo per riscattare sé stessa, la madre, loro e tutte le donne che subiscono la violenza maschile, da un sistema patriarcale che le vuole vittime. Nell’orrore del campo, come nella vita della madre, pur nell’ incomparabile diversità, lei cerca e trova un’immagine altra di donna/e, trova grandezza, forza, coraggio, creatività, umanità, senso di sé, guadagnate attraverso il primato delle relazioni, la solidarietà, l’amicizia tra donne, che nel campo “davano dignità”.                               Un racconto diverso da quello che comunemente accompagna la narrazione della deportazione e dello sterminio che, se pur accomuna nella sofferenza donne e uomini, cancella la differenza femminile che l’autrice, invece, indaga e narra attraverso le testimonianze delle sopravvissute, delle poesie e dei disegni che hanno prodotto. Tra il 1939 –’45 scrissero ben 1200 poesie di cui alcune riportate nel libro. Scrivevano inventandosi vari stratagemmi e aiutandosi l’una con l’altra. Scrivevano per piacere, per lasciare un ricordo di sé, per testimoniare un avvenimento; scrivevano “perché scrivere era salvarsi” come il raccontarsi. Si raccontavano e si scambiavano le ricette di cucina e quasi le recitavano ad alta voce a turno, traendone un grande conforto. La sera, distese nei loro giacigli, o durante il lavoro nelle cucine a pelare patate, si raccontavano reciprocamente storie, trame di libri o opere teatrali, come appare nei disegni realizzati dalle artiste del campo. Frammenti di vita quotidiana, veri documenti e testimonianze di quanto succedeva nel campo, sono quei disegni realizzati con carte e mozziconi di matite sottratte dalle deportate che lavoravano negli uffici. Il libro ne contiene 42 che l’autrice legge e interpreta. La maggior parte dei disegni furono distrutti dalle SS che non volevano testimoni. Ma per fortuna una parte è rimasta e alcune sopravvissute, dopo la liberazione, sono riuscite a rifare molti di quelli andati perduti. Un libro originale, reso unico dallo sguardo che l’attraversa, che vede e fa vedere, nonostante l’orrore che non viene taciuto, la bellezza che teneva insieme la vita di quelle donne, la vitalità, la speranza, l’amore, l’umanità che fecero di loro delle sopravvissute non solo e non tanto nei corpi quanto nelle anime. Un libro da leggere e fare conoscere, in particolare alle nuove generazioni di donne e uomini.

“Lupini violetti dietro il filo spinato – Artiste e poete a Ravensbruck” di Katia Ricci Ed. Luciana Tufani pgg. 105 €14,00